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Quella volta che sono morta

 

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Il romanzo breve di Cetta De Luca è originale e ben scritto. Per conoscere meglio l’autrice le abbiamo rivolto alcune domande sulla sua opera, sul self publishing, sui progetti futuri.

 

Ho incontrato Cetta De Luca e le sue scritture sul Web, per caso. È stato all’incirca tre anni fa e io le proposi di leggere il suo Colui che ritorna, il romanzo breve che aveva appena pubblicato. In seguito è stata la volta di Nata in una casa di donne e proprio in questi giorni ho letto il suo ultimo lavoro: Quella volta che sono morta. Questo per dire che con questa autrice ho potuto adottare una metodologia di lettura che mi è particolarmente cara: seguirne l’evoluzione attraverso le scritture.

La scrittura, come tutte le arti, è una miscellanea di artigianato e dono. Ciò significa che non può darsi uno scrittore se nel suo percorso non si coniugano una capacità innata –variamente composta di sensibilità creatività ed empatia- e una volontà a migliorarsi.

Queste componenti io le ritrovo in Cetta De Luca.

Vi è nella De Luca scrittrice l’impegno, che io definisco “artigianale”, a lavorare su se stessa, sulla propria arte, ed ogni successiva opera da lei pubblicata dimostra il difficile cammino intrapreso.

Questa mia puntualizzazione si rende necessaria perché l’autrice ancora vive in quel limbo complesso, in specie nel nostro Paese, nel quale si trovano tanti autori –in parte Self Publisher e in parte pubblicati da piccolissime case editrici. Autori che non vedete recensire sui quotidiani a tiratura nazionale né commentati dalle grandi firme delle Terze pagine, autori che sono costretti a diffondere il loro lavoro solo a prezzo di un costante sacrificio personale.

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Due parole sui primi lavori di Cetta De Luca… Colui che ritorna è una storia d’amore, diremmo meglio: l’incontro tra un uomo e una donna, che travalica il tempo, dal presente al XV secolo, che dà luogo a una specie di pellegrinaggio tra realtà e sogno.

In Nata in una casa di donne, invece, si respira l’aria di certi romanzi sudamericani; penso soprattutto a quelli di Marcela Serrano. Anche qui, come ci lascia capire il titolo, protagoniste sono le donne, donne italiane che combattono per la loro affermazione di persone, tra il patriarcato e l’insostenibile “peso” dei sentimenti familiari.

Considerazione In media res

C’è stato un tempo d’oro nel quale gli editori, persino quelli italiani, avevano un dio diverso da quello del Business e si impegnavano a cercare tra gli “esordienti” i nuovi talenti da inserire nelle loro scuderie. Oggi quasi nessuno vuole rischiare pubblicando uno sconosciuto ed è molto più sicuro limitarsi a tradurre qualcuno che all’estero è già stato sperimentato, acclamato, lanciato sul mercato da un provvido lavoro di marketing. Così che, per luce riflessa, all’editore italiano spettino solo onori e nessun onere. L’editoria italiana, o comunque gran parte di essa, ha fatto dell’esterofilia il suo unico mezzo di sopravvivenza, e non c’è verso di convertire questa pessima abitudine.

Grazie all’avvento dell’editoria digitale, finalmente anche in Italia, gli autori hanno iniziato a praticare un impervio fai-da-te; si sono ribattezzati Self Publisher, e si sono messi a percorrere l’erta strada quasi senz’altro supporto che la loro cieca passione per lo scrivere.

Ora, premettendo che in questo modo, per i poveri lettori, si è moltiplicato l’imbarazzo della scelta [portare sotto l’ombrellone nata-in-una-casa-di-donne
l’ultimo vincitore del Premio Strega o il romanzo scritto da una carissima amica della cugina Pierina?], occorre anche sottolineare –in tutta onestà- che tra questi Self molti farebbero meglio a riprendere in mano la grammatica e ad altri, proprio senza speranza, consiglieremmo di dedicarsi ad un altro hobby. Ma si sa, il definirsi “scrittore” ha un fascino cui pochi resistono, e altrettanti pochi hanno un minimo senso di autocritica.

Tornando agli editori, ci piacerebbe -visto che è il loro mestiere- se, oltre ad andare a fare acquisti alle Fiere internazionali, ogni tanto si affacciassero su questo Mare magnum di produzione nostrana. Certo darebbero un po’ di lavoro a Editor e a Correttori di bozze (utilissimi anche al tempo degli e-book!), ma soprattutto potrebbero rialzare le sorti del Made in Italy letterario che da qualche anno punta decisamente al ribasso, pericolosamente vicino all’estinzione.

In questo modo, potrebbe capitare loro di mettere gli occhi sull’opera di un’autrice, come Cetta De Luca, che merita senz’altro attenzione.

Quella volta che sono morta

Ahimè si tratta di un romanzo breve, e perciò non ho potuto goderne quanto avrei voluto.

Forse la fine l’avrei voluta meno Happy, ma avete mai trovato un lettore soddisfatto al 100% del finale di un libro???!

Scherzi a parte, vi spiego perché questo romanzo breve mi è tanto piaciuto.

Non è banale, cioè non siete davanti al solito racconto autobiografico tutto lacrime e pseudo-impegno sociale. La protagonistaquella-volta-che-sono-morta della storia è una donna del nostro tempo, che però riesce anche a sorridere di se stessa, e questo non capita tutti i giorni…

Leggendo non sarete costretti a interrogarvi ogni mezza pagina se quello che avete davanti è un refuso grafico o un segno di grassa asineria, l’Italiano è salvo.

E poi non vi è nulla di scontato in questo romanzo di Cetta De Luca, e nel tempo in cui sembra che tutto sia già stato detto e scritto, questa è una bella boccata di ossigeno.

Vi troverete alle prese con la sparizione di una gatta, e con l’altrettanta misteriosa scomparsa di 12 minuti: il tempo nel quale la protagonista è morta.

Un plot avvincente e coinvolgente, anche perché l’autrice non esita a inserire nella sua scrittura una velata ironia che coinvolge ad esempio la psicanalista cui la protagonista affida il compito di indagare su questo suo spazio temporale perduto. Il lettore accede con lei nello studio, e con lei si interroga su: sedia o lettino?

Ma di questa originale e avvincente storia non vi diremo altro, perché sarebbe togliervi la possibilità e il piacere di seguire in prima persona la vicenda di questo romanzo.

Il libro è edito da DuDag e si può acquistare sul sito dell’editore.

Noi, però, incuriositi dal libro abbiamo chiesto all’autrice una breve intervista che vi proponiamo di seguito, invitandovi a non dimenticarvi di lei che, se l’esperienza non è acqua, prevediamo di leggere ancora in futuro. Un futuro che, le auguriamo, sia illuminato da altre scritture parimenti piacevoli e di buona fattura.

D. Quando hai sentito che dovevi scrivere?
R. Proverò a rispondere a questa “insidiosissima” domanda  in modo non convenzionale. La voglia di scrivere io l’ho sempre avuta, ma ero pigra, così pigra che preferivo tenere tutto in testa. Ogni tanto però qualcosa doveva emergere, a mia insaputa, perché qua e là spuntavano appunti scritti d’impeto, frasi, racconti, poesie, testi di canzoni. Era la mia fase embrionale. In realtà la gestazione era cominciata e non ne ero consapevole. Ero gravida di storie, ma volevo restasse un segreto. E poi non avevo mai tempo né pazienza, diciamo la verità. Ero sempre presa da tutta la mia vita così reale, dovevo capire le direzioni da prendere, le scelte da fare. Poi a cinquant’anni, una sera, la sera più brutta della mia vita (magari ce ne sono state altre, ma quella fu particolarmente incisiva), la prima storia è stata partorita, con urgenza. E mi sono sentita meglio, decisamente. Scrivere mi ha distratta dal dolore, è stata una catarsi, una purificazione, e mi ha aiutata a vedere un altro percorso, quello che da quel momento non ho più abbandonato.

D. Il Self Publishing è stata una scelta obbligata? Hai proposto i tuoi romanzi ad editori, prima di diventare una Self Publisher?
R. In realtà il Self Publishing per me è arrivato dopo. I miei romanzi sono stati tutti pubblicati da case editrici (rigorosamente non EAP) indipendenti. Poi mi sono scontrata con la dura realtà dell’autopromozione, che pare sia una condizione necessaria se si vuole arrivare al pubblico lettore. E poiché sono curiosa, molto curiosa, ho cercato di scoprire e capire cosa ci fosse di “sbagliato” nel mondo dell’editoria, perché i nuovi autori facessero tanta fatica per emergere, perché tanti editori evitassero persino di rispondere agli invii di manoscritti. Esplorando questo mondo ho incontrato il self publishing, e ho scoperto che c’è cetta-de-luca-bigtanta roba illeggibile ma anche tanta qualità (come nell’editoria tradizionale…). Sono convinta che l’obbiettivo di chi scrive non debba essere la pubblicazione. Non è questo che “fa” uno scrittore. È il lettore che fa la differenza. E poiché io volevo essere letta ho cominciato ad auto pubblicare. Ma io mi considero un ibrido, una vera scrittrice Indie: scelgo ogni volta ciò che meglio si addice al mio testo, che si tratti di editore o di self. C’è del buono in entrambe le situazioni, è solo una questione di opportunità e di controllo. Ora, per esempio, ho recuperato i diritti di due dei miei romanzi e ho auto pubblicato entrambi. Ciò da cui non transigo, in nessun caso, è la qualità. Io ho un profondo rispetto per i lettori, forse perché nasco come tale, e ritengo che il loro denaro e il loro tempo abbiano un valore incommensurabile. Quindi preferisco bruciare un intero libro già scritto piuttosto che pubblicarlo, se non è di ottima qualità.

D. Quali autori ami di più? E quali tra questi credi abbiano influenzato il tuo stile?
R. Sicuramente gli autori sudamericani hanno influenzato la mia scrittura. Penso a Marquez, il più amato, ma anche alla Allende e a Manuel Rojas e, più recente Bolaño. Ma anche Calvino e Pavese, o gli americani John Fante, Hemingway e Carver. Sono sempre stata onnivora. Ho avuto periodi interi in cui leggevo solo fantascienza (ho letto tutto, ma proprio tutto Asimov e ho ancora la collezione degli Urania d’annata) e altri in cui ho letto solo Stephen King, ma la mia scrittura non ne è stata stimolata.

D. Perché un lettore dovrebbe leggerti?
R. Perché sono umorale, e i miei stati d’animo ci sono nei miei libri, sono riconoscibili. E sono gli stati d’animo che tutti noi proviamo, prima o poi, e forse, leggendoli, si riesce ad esorcizzarli, ad affrontarli. Io non amo scrivere complicato, racconto la vita dal mio particolare punto di vista, quello femminile. Provo a districare nodi difficili da sciogliere con un linguaggio che possa arrivare, quello che deriva dagli incontri di ogni giorno, dalla quotidianità. Le mie sono storie reali, e in queste storie i personaggi hanno sempre una possibilità di salvezza, di speranza.

D. Hai un progetto [un nuovo romanzo] nel cassetto?
R. Ho già terminato un nuovo romanzo, che ha appena passato il vaglio di beta reader d’eccezione e ha ricevuto una prima revisione. Ho da poco cominciato a inviarlo ad alcuni editor di fiducia e vedremo cosa accadrà dopo l’estate. Intanto sto scrivendo alcuni racconti per un progetto di mixed art particolare e una piccola sorpresa che sto preparando in tandem con un giovane artista italiano trapiantato in Australia. E mi fermo qui che sono già stanca solo a leggermi!
F.P.M.

 

Chi è Cetta De Luca
È nata in Calabria qualche anno fa, ma Roma è la città nella quale vive e dove è cresciuta, e queste due realtà sociali così diverse hanno influenzato profondamente le sue scelte artistiche. Ha pubblicato tre romanzi, una raccolta di poesie, un diario/racconto umoristico, un libro erotico scritto a quattro mani con Marco Reale e alcune poesie; inoltre alcuni racconti sono stati pubblicati all’interno di raccolte antologiche da Giulio Perrone Editore.
Ama la buona cucina, il vino rosso e corposo e viaggiare, con ottimi libri in valigia.
Ha un blog personale per dar spazio alle sue divagazioni.

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Chi è DuDag
Cos’ha di particolare DuDag? Sono digitali, e questo è un punto di forza ma anche di debolezza, se si pensa a quei lettori che sono irrimediabilmente legati alla carta. E sono social. Lo sono in maniera esponenziale e lo sanno fare, proprio perché giovani (forse) e proprio perché sfruttano al meglio tutto il potenziale che l’era digitale è in grado di offrire.Qualcuno potrebbe obbiettare che vendono i libri tutti a € 1 e che quindi somigliano molto a una piattaforma di distribuzione. In realtà leggono i manoscritti che ricevono e fanno una scelta. Poi fanno l’editing (leggero, ma lo fanno). Poi convertono i manoscritti in tre formati. Poi fanno promozione. E cosa dovrebbe fare una casa editrice? Nel maggio 2012 avevano pubblicato solo sei titoli, e due di questi sono stati finalisti al Premio Calvino. Pubblicano esordienti e emergenti, ma ultimamente anche nomi noti al grande pubblico.
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