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Una trilogia fuori tempo massimo

Ho "conosciuto" Pierre Lemaitre qualche anno fa dalla passione di mia moglie per lui. Un’amica le aveva regalato I colori dell’incendio. Era il secondo libro della celebre trilogia dell’autore francese, il seguito di Ci rivediamo lassù, che gli aveva assicurato nel 2013 il prestigioso premio Goncourt.

Lei aveva poi letto questo primo e più volte mi aveva esortato a leggerli. Avevo preso in mano il romanzo, ma l’ambientazione iniziale, in una trincea della Grande guerra mi aveva frenata dal proseguire. 
Ma quel suo entusiasmo mi era rimasto in un angolo dei pensieri…

Dumas MontecristoQualche settimana fa mi sono decisa e, seguendo l’ordine cronologico, ho letto uno dopo l’altro i volumi della trilogia: Ci rivediamo lassù, I colori dell’incendio e Lo specchio delle nostre miserie
Come definirli?
Senz’altro un feuilleton che ha nelle sue corde la lezione di Dumas padre, di Balzac, Hugo ma anche di Zola. I classici della letteratura francese, insomma. E il lettore potrebbe immaginare di essere finito a capofitto tra le pagine di quegli autori non fosse per alcuni brevi e ben dosati interventi di Lemaitre che, rivolgendosi al suo pubblico, non manca di ricordargli che è immerso soltanto in una Fiction. 
Questo non basta in questo inizio di XXI secolo a rendere appassionante questa lunga trilogia. Forse la differenza tra romanzi feuilleton e serie tv è proprio in due fattori. 
Il tempo nel quale sono nati e la "somministrazione".

Mentre per la serie tv, detta familiarmente Soap, saponetta, è prevista una posologia breve ma quotidiana, la fruizione di un feuilleton ha, oggi, dei tempi di distribuzione diversi, che spesso si compiono in anni. Tra i suoi padri c’è Dickens che vedeva la pubblicazione dei suoi romanzi sui quotidiani del tempo, appendici che incrementavano certo allora l’acquisto dei giornali… 
Ma oggi?
Oggi avrebbe successo una simile posologia? 
Non credo, almeno stando alla mia personale reazione alla lettura della trilogia di Lemaitre…

Passi per il primo, che alla fin fine è riuscito, dopo qualche capitolo, ad attrarmi al "voltapagina" abilmente creato dall’autore. L’intreccio ben strutturato mi ha costretta a seguire le vicende dei suoi - ben disegnati - personaggi sino alla conclusione del corposo (517 pagine) romanzo. E questo nonostante uno stile classico, del tutto insensibile alle evoluzioni del Novecento letterario. Tra la prosa delle mie autrici preferite (Virginia Woolf, Gertrude Stein, Annie Ernaux e Marguerite Duras) e quella di Pierre Lemaitre non c’è neppure la punteggiatura simile…

Ma tornando alla trilogia e alla sua essenza, direi che la mia insofferenza nasce forse proprio da averla letta di seguito, l’aver preteso di "iniettarmi" i tre capitoli di cui è composta uno dietro l’altro, senza soluzione di continuità, restando per intere giornate a perdermi tra le sue pagine. 
Pierre LemaitreIn questo modo però - oltre alla mancata equivalenza tra feuilleton e serie tv - ho potuto accorgermi del sotterfugio usato dallo scrittore francese per tesaurizzare al suo lavoro una pletora di lettori. Ovvero: scrivere un buon romanzo, stile Ottocento, e uscire con due successivi creando l’illusione si trattasse di sequel.
L’esperimento, ben riuscito (tanto da valergli, come già scritto, il Goncourt), a mio parere doveva concludersi con Ci rivediamo lassù. Ma quale autore saprebbe resistere alla fama e ai guadagni? Nessuno, visto come se la passa in genere la categoria… e quindi neppure il nostro che, in successione, ha sfornato i due sequel. Sequel per modo di dire… Perché i personaggi non sono gli stessi e, se per I colori dell’incendio vi è comunque qualche attinenza con il primo, Lo specchio delle nostre miserie è un seguito soltanto cronologico.

In Francia la trilogia ha avuto un’acclamazione pressoché unanime, ma questa si basa senz’altro sul forte senso di appartenenza nazionalistico dei francesi per la loro nazione. 
Per noi, lettori esteri, può bastare la lettura di uno dei tre, qualsivoglia scegliere, non fa differenza, possono essere fruiti indipendentemente uno dall’altro, e soprattutto l’ultimo, a mio parere.

Cosa resta dopo? L’impressione di aver assistito a un "esperimento" riuscito. Quello di scrivere oggi secondo le modalità e lo stile in voga più di un secolo fa. 
E questo può bastare? 
Per me assolutamente no. Mi spiace.

Mi viene in mente che spesso assistiamo a una collezione di Moda che va al recupero di se stessa, di com’era trenta, quarant’anni fa, e lo stesso certa Musica.  Ma questo può generare in noi stupore, ammirazione?  O non è altro che una malinconica resa di fronte a una cronica mancanza di nuove idee, di una creatività purtroppo aggrovigliata su se stessa?

Flaminia P. Mancinelli

 

Pierre Lemaitre: Ci rivediamo lassù, Mondadori, pp. 517

                                    I colori dell’incendio, Mondadori, pp. 498

                                  Lo specchio delle nostre miserie, Mondadori, pp. 504

 

La fotografia di Pierre Lemaitre è del sito Il libraio