Romanzieri, Self ed... Editor

Pubblicato in Corsivi

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Il 18 dicembre 2014 ho pubblicato su Facebook il seguente post: 

«PENSIERI SULLA SCRITTURA
Chi scrive in Italia - sia un autore pubblicato da editori tradizionali che un Self Publisher - spesso ha poca umiltà, non fa autocritica e non cura grammatica/sintassi. Gli editori tradizionali, spesso, correggono, passano il testo a un editor... Ma il lavoro dello "scrittore" allora alla fin fine qual è??? Quello di un cantastorie?

Uno scrittore deve consegnare un prodotto finale pronto. Non una "bozza".
Qui si sta perdendo la misura...»
 

Da questi “pensieri” si è generato uno scambio che ho davvero molto apprezzato, nel quale persone diverse a diverso titolo sono intervenute spingendomi
anche a precisare le ragioni di quel mio intervento. 

L’origine era nelle mie letture di questi ultimi mesi, nate con l’intento di “sdoganare” i Self Publisher o Indie o Autori autopubblicati dal silenzio dei recensori ufficiali. 
snoopyWriterCon l’affermarsi dell’e-book per molti è diventato semplice accedere alla pubblicazione, ma quasi impossibile accedere alle pagine dedicate -da giornali e riviste- alle recensioni di libri, che restano ad appannaggio di libri cartacei, tradizionalmente editi. Così sulla mia rivista online (Leggereonline News – www.leggereonline.com) ho dato vita ad una rubrica dedicata ai Self Publisher italiani. Per me uno sforzo non da poco, sia perché assolutamente non retribuito sia perché mi ha richiesto un impegno di tempo molto ampio. Ma uno sforzo che reputavo eticamente andasse fatto, fosse almeno iniziato…

Dopo quasi 4 mesi ho voluto tirare un’asticella e fare il punto della situazione di questa esperienza. C’erano stati molti “pro” e, purtroppo, altrettanti (se non maggiori) “contro”. 
I “pro” sono nelle belle pagine che ho avuto modo di leggere e soprattutto nelle belle persone che questa attività mi ha permesso di conoscere. Persone, gran parte dei Self Publishing che ho conosciuto, ancora capaci di sognare, di coltivare un ideale, una passione, e di impegnarsi con grande amore per quella. Quale? Of course, la scrittura. 
Ho accennato alla fatica personale di questi mesi… Nulla se confrontata con la felicità che mi ha dato in cambio. Quindi, anche se a ritmi meno serrati, di certo continuerò… 
Ma poi c’è il “contro”, ed è qui che l’esperienza mi ha fatto avvicinare persone e situazioni che avrei preferito non conoscere.  Il mondo dei Self Publisher non è diverso da qualsiasi altro segmento della nostra società, anche tra questi ci sono buoni e cattivi, pessimi e meschini. 
Ma per me, che sono sempre tra le nuvole… è stata una delusione cocente. 
E veniamo al Post del 18 dicembre. 
A quello, come dicevo, sono arrivata per reazione. Per me la scrittura è una forma di artigianato, un’attività che nessuno impone di fare e che non necessita di altri, oltre a noi stessi, per essere svolta. Come per l’artigianato, vi sono livelli e ambiti differenti nei quali uno scrittore può impegnarsi, e alla fine può portare la sua creazione al mercato e venderla o cercare di affidarla a una fabbrica perché la moltiplichi e la venda a più persone. 
Ma il nocciolo, la creazione artigianale, deve –secondo me- essere prodotta nella bottega dall’artigiano. Punto e a capo.

Invece, in questi mesi, ho scoperto che gli autori Self hanno adottato sistemi di produzione alternativi che a mio avviso snaturano l’essenza stessa dello scrivere… Per anni, hanno girato “leggende metropolitane” (alcune purtroppo vere altre meno) riguardo ciò che accadeva nelle camere caritatis delle case editrici, mi riferisco nello specifico a quella metodica per la quale molti romanzi, prima di essere pubblicati, venivano riscritti o dal punto di vista sintattico-grammaticale o contenutistico (trama e plot), ma anche da entrambi. E tutti noi lettori e autori ci siamo indignati, chiedendoci a cosa serviva allora la figura dello scrittore, di quale proprietà intellettuale questi si dovesse alla fine vantare.  In questi mesi, con rammarico e tristezza, ho scoperto che per molti Self Publisher è naturale pagare persone che correggano i loro strafalcioni grammaticali e che riassemblino strutture narrative pericolanti. 
A quale scopo? 
Pubblicare e appiccicarsi accanto al nome la dicitura “scrittore”. In un Paese nel quale il tasso di lettura scende ad ogni piè sospinto ciò sarebbe risibile se non fosse tragico, dimostrando ancora una volta che l’apparire è per molti prassi irrinunciabile. 
Ma non basta, proprio per difendere questa scelta si è gonfiata e stravolta la figura dell’Editor, trasformandola in proto, correttore grammaticale, e pezzaio (colui che mette pezze su un testo gravido di manchevolezze).

Mi fa piacere, a questo punto, riportare due interventi fatti al mio Post: 
Sergio Bertoni ha scritto:

«Flaminiacara, sono curioso per natura e mi piacerebbe quindi sapere quando sia nata la figura dell'editor, e quali siano le sue reali funzioni, anche se probabilmente queste sono talmente varie e numerose da risultare praticamente impossibile darne una spiegazione completa. Voglio comunque sperare che non sia compito dell'editor quello di correggere eventuali errori di grammatica o di ortografia. Qualche errore, specialmente in una lingua complessa come quella italiana, è ovviamente possibile, tuttavia non sarebbe ammissibile un testo completamente infarcito di errori di tal genere. Purtroppo l'enorme proliferare di scrittori dilettanti che farebbero molto meglio (probabilmente me compreso) a dedicarsi ad altri lavori, per loro più congeniali, ha invaso il mercato di testi praticamente illeggibili, alcuni dei quali, purtroppo, sono anche pubblicati e premiati perché scritti dagli amici degli amici, oppure da persone che per il loro lavoro hanno acquisito molta notorietà e quindi, secondo gli editori, dovrebbero procurare dei buoni risultati di vendita. Secondo me, e credo che anche Flaminia possa essere d'accordo con me, l'occhio di un esperto potrebbe e dovrebbe consigliare allo scrittore di eliminare alcuni parti, troppo prolisse o noiose, del suo lavoro, oppure di ampliarne altre che possono sembrare un poco trascurate. Certo, avere la possibilità di conoscere preventivamente il parere di amici esperti può essere estremamente utile, tuttavia il problema si pone quando questi amici non si trovano. Credo che fino a non moltissimo tempo fa ogni scrittore curasse particolarmente e personalmente il proprio lavoro. Non so se Alessandro Manzoni sia ricorso a qualcuno per correggere il proprio capolavoro, è tuttavia certo che tra la prima stesura di Fermo e Lucia e quella finale dei Promessi Sposi corre non solo un notevole lasso di tempo, ma anche un cambiamento radicale di moltissimi passaggi del romanzo. Molte descrizioni lunghissime, prolisse e alquanto noiose sono state completamente eliminate nella stesura definitiva, e molti personaggi hanno acquisito caratteristiche decisamente più snelle e realistiche.»

Al caro amico Sergio il suo esempio di “Fermo e Lucia” e dei “Promessi Sposi” è esattamente quello che a me galleggiava in testa… Ma noi siamo nel “tempo ratto” e purtroppo alcuni “dilettanti”, pensando di “far soldi” con la scrittura, hanno mutuato dai metodi contemporanei delle case editrici for Business l’iperproduzione invadendo il mercato di PALTA.

Il pubblicare un libro ogni tre, quattro anni non è accettabile, il lettore/cliente si dimentica, i soldi non arrivano più, e allora…  Così si comprano “proofreader” ed Editor che svolgano rapidamente il nostro lavoro…
Purtroppo la possibilità data a chiunque di pubblicare qualsivoglia testo - sia dalla Vanity Press che dall’editoria digitale - ha peggiorato la situazione, e molto.

L’altro intervento, altrettanto interessante è di Riccardo Borgogno:
«Lo scrittore deve conoscere perfettamente non solo la lingua italiana (è il suo strumento di lavoro) ma anche le tecniche narrative. Ci sono corsi ma anche ottimi libri (che costano meno). Quindi deve scrivere da solo il romanzo il meglio possibile. L'editor ha il compito di intervenire sullo stile, struttura e coerenza della trama (personaggi che cambiano nome, morti che resuscitano, lungaggini, ripetizioni, incoerenze temporali ecc.), ma sempre solo in contatto e dialogando con lo scrittore. Es. l'editor legge il romanzo, prende nota delle incoerenze, incontra lo scrittore, discutono, lo scrittore ri-scrive, si rivedono, ri-discutono ecc. Se sono in città diverse l'editor invia allo scrittore la copia su carta con le annotazioni a mano (o in forma digitale con evidenziate le modifiche), lo scrittore le legge, ci pensa, può approvare o meno. Quindi l'editor non deve ri-scrivere il romanzo e non interviene d'autorità. Non deve fare il "negro", esistono ma non c'entrano niente con gli editor seri. Io credo che per quanto bravo sia lo scrittore lo sguardo esterno ci vuole, può succedere a tutti che un passaggio logico resti nella sua testa, non arriva sulla carta e al lettore risulta incomprensibile. Diverso è il correttore di bozze che si limita agli errori di grammatica e sintassi ed è l'ultimo passaggio prima di andare in stampa. Prima dell'editor che è un professionista ci può essere (anzi è utilissimo) il "lettore sensibile", un amico/amica che ti fa la prima lettura. Non deve essere un professionista, non conosce le tecniche narrative, l'unico requisito è che sia abituato e ami leggere e quindi è in grado di dirti se un passaggio l'ha letto piacevolmente o ha faticato, o se non capisce un passaggio che quindi deve essere spiegato meglio.»

Anche in questo caso, non posso che essere d’accordo con Riccardo (che mi piacerebbe annoverare tra i miei amici). Quando in uno dei miei interventi sul Post ho citato Virginia Woolf, avevo esattamente in mente quello che tu hai dettagliatamente scritto. Anche la grande scrittrice inglese faceva leggere ad amici di indubbio valore e a “lettori sensibili” le sue opere prima di affidarle alla stampa di suo marito Leonard…

Ecco, e con questo concludo, a peggiorare le cose poi vi sono aspetti squisitamente commerciali, inseriti da Amazon che peggiorano la situazione. Mi riferisco alle recensioni “farlocche” o a quelle scritte per nuocere ad un altro autore… Insomma il mondo del Self Publishing non è esente dal peggio dell’editoria tradizionale. 
Mi auguro che questo sia solo un momento di passaggio, e che i dilettanti che scrivono solo per profitto presto si stanchino (tanto il guadagno, credetemi, è davvero risibile), e lascino spazio non solo ai pochi che meritano di continuare in questa folle ma anche a questa straordinaria forma di artigianato, ma che soprattutto cessino di manometterne il valore e le regole. 
Questo, sia chiaro, senza nulla sminuire nella figura dell’Editor (nel senso da voi esattamente esposta), che resta importante ed unica… visto che è anche il mio “secondo” mestiere…

Grazie,
Flaminia

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